Lo scorso fine settimana sono andato a vederlo dal vivo il Gran Premio di Roma di Formula E. Ci sono andato senza nessun pregiudizio, ma per farmi una idea definitiva di questo nuovo modo di fare motorsport.
E’ la seconda volta che vedo la Formula E dal vivo. La prima, per la verità, era la sua presentazione avvenuta al Campidoglio nel 2012 quando proprio la nostra Capitale fu scelta per lanciare questa nuova formula “a impatto zero” e così politicamente corretta.
[dropcap]D[/dropcap]a allora di strada ne è stata fatta tanta. Anno dopo anno la macchina organizzativa si è perfezionata, i soldi arrivano copiosi da sponsor di primo livello, i Costruttori presenti stanno aumentando anno dopo anno e il livello dei piloti non ha nulla da invidiare a quello di molte altre categorie professionistiche quali DTM e WEC in primis senza considerare la presenza di diversi ex F1 alla ricerca di un rilancio sportivo e di immagine che la Formula E sembra assicurare.Insomma il pacchetto complessivo sembra andare alla grande e quest’anno con le monoposto Gen2, che consentono ai piloti di battagliare fino alla bandiera a scacchi senza fermarmi per il cambio auto, le gare sembrano promettere una ulteriore iniezione di adrenalina. Il quadro d’assieme è intrigante, ma è veramente così per un appassionato di motorsport? [perfectpullquote align=”left” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”red class=”” size=””] “Leggere” la Formula E da più punti di vista[/perfectpullquote]
Quando parliamo di motorsport dobbiamo partire da due punti cardine: le auto devono correre forte e fare rumore, avere il giusto sound. A questi due ingredienti ci aggiungi agonismo e livello tecnico elevato per assicurare lo spettacolo dal punto di vista sportivo e siccome lo devi rendere anche memorabile come evento, intorno ci devi costruire il giusto racconto. Come dire: l’ottimo bilanciamento tra componente tecnico-agonistica e marketing degli eventi speciali. Per leggere la Formula E partirei da quest’ultimo.
La mattina della gara decido di arrivare sul luogo dell’evento (il quartiere EUR) in metropolitana, mi impongo un approccio laico, privo di pregiudizi, necessario per comprendere e valutare il contesto con il necessario distacco. L’entrata è su viale della Civiltà Romana, il colpo d’occhio è straniante: la prima impressione che ricevo è quella di un enorme paddock che si sviluppa idealmente tra il Museo delle Civiltà ed il Museo Nazionale d’Arte Orientale.

Dopo qualche minuto mi rendo subito conto del mio primo errore: pensare secondo gli schemi che mi sono più naturali (una pista, una pit lane ed il paddock) è sbagliato. Qui non esiste una delimitazione precisa quanto piuttosto piazze e strade che, inglobate all’interno del circuito, vivono l’evento in una sorta di esposizione distribuita: praticamente tu cammini costeggiando la pista, lungo strade che già conosci, ma che in quella giornata sono aperte solo ai possessori di pass e biglietti paganti (tanti) e che diventano un costante defluire di umanità varia, lontana, lontanissima da quella che vedi dentro un autodromo (magari non in Italia): qui ci sono famiglie intere e bambini, adolescenti e ragazzini, altrimenti presi dall’ultima battaglia su Fortnite, armati di telefonino a fotografare dettagli e a partecipare alle feste organizzate nei vari stand con la faccia di chi vive una nuova avventura. Jaguar, BMW, Audi, Mercedes, DS, Porsche e Nissan con i loro stand aperti a questo nuovo pubblico delle corse e che magari si ritrovano a parlare con quelli che saranno i clienti di un domani molto prossimo.


No, decisamente. Non spiccava il pubblico abituale delle corse, magari esperto e spesso autoreferenziato, ma è questo il risultato che volevano raggiungere gli organizzatori: avvicinare gente nuova, offrire loro una esperienza il più possibile immersiva che non appartenesse al loro vissuto. Un obiettivo che, molto probabilmente, ottengono ogni sabato di gara in giro per il mondo ed è questa la mia prima piacevole impressione: la netta sensazione di girarmi intorno e vedere aria nuova, giovani e giovanissimi che, mi piace pensare, attraverso l’elettrico e quasi per osmosi, possano avvicinarsi anche a tutte le altre forme del motorismo sportivo.
Lo spettacolo della gente c’è, è un evento in cui bisogna entrarci senza pensare alla rappresentazione del motorsport che abbiamo in testa, non è la partenza della 24 Ore di Le Mans con il pubblico che canta all’unisono la Marsigliese, una rappresentazione sacra a cui bisogna genuflettersi, ma bisogna entrarci con pazienza, leggendo tra le righe questo nuovo racconto, imparando ad abitarlo poco per volta perché solo così si riesce a farne un quadro generale.
[perfectpullquote align=”left” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”red class=”” size=””] Una comunicazione vincente, ma con qualche ombra[/perfectpullquote]La gara deve ancora iniziare (compreso il Jaguar I-Pace Etrophy evento supporto della Formula E) ed io mi sono già girato in lungo ed in largo il “paddock” dell’ePrix di Roma. All’interno del Roma Convention Center, la splendida Nuvola di Fuksas, sono ospitati i vari stand dei partner/sponsor del Campionato. Un mix di intrattenimento ed informazione necessario ad alimentare questo racconto di una Formula E che guarda avanti verso un mondo connesso, pulito, efficiente e partecipato. E’ il risultato di una macchina organizzativa impressionante ma che esprime qualche inspiegabile caduta di attenzione.


Questo grande paddock che si srotola lungo le vie tanto conosciute ai romani era punteggiato da grandi gruppi elettrogeni che rifornivano di energia elettrica l’intero paddock, ma anche le stesse Formula E. In bella mostra gli scarichi spesso fumosi di questi impianti hanno fatto sorridere (e di molto) i detrattori e gli scettici ed in effetti il colpo d’occhio strideva non poco con il messaggio dell’evento. Anche se le formula E sono alimentate da generatori a glicerina, un sottoprodotto del biodiesel, ma anche una materia prima vegetale (qui l’interessante articolo di Lorenzo Baroni sulla Gazzetta dello Sport) che performa molto bene dal punto di vista delle emissioni, questa ovvia esigenza di produrre energia attraverso combustibili fossili era assolutamente mal celata lungo il circuito dell’ePrix di Roma e questa comunicazione così spinta sull’elettrico innesca delle sottili antipatie di riflesso che vengono amplificate quando ti trovi davanti necessari casermoni a gasolio.

Poi c’è l’aspetto agonistico dell’evento. Guardando l’interessante layout del circuito, le sue caratteristiche di tracciato cittadino e il livello dei piloti, lo spettacolo dovrebbe essere un dettaglio assicurato. Ma al pronti via, l’avvicinarsi del plotone era anticipato solo da un sibilo e lo stridio dei pneumatici. Nient’altro. Manca completamente l’esperienza sensoriale ed il glorioso coro del suono legato alla velocità. Cavolo stiamo parlando di un ingrediente principale e qui è assolutamente assente. Da qui in poi possiamo fare tutte le considerazioni possibile: una gara molto maschia e combattuta, lo spettacolo del commento costantemente accompagnato da una musica martellante per rendere più adrenalinico il momento, gli effetti sonori che accompagnano l’attivazione dell’attack mode, ma questa Formula E resta un piatto molto ben presentato, ma senza l’ingrediente principale.
Altro elemento è relativo all’aspetto tecnologico. La sfida tra i Costruttori è limitata alla gestione e rigenerazione dell’energia. Il regolamento tecnico consente ad ogni Costruttore di lavorare su motore elettrico, inverter e cambio e malgrado ci siano state delle scelte tecniche a volte differenti, il pacchetto complessivo prevede la maggior parte delle componenti come standard. E quando leggo o ascolto paragoni con la Formula 1 e ipotesi di un sorpasso, nei prossimi anni, in termini di popolarità mi viene da sorridere. La Formula E non è tecnologicamente spietata come la Formula 1, non sono richiesti investimenti in R&S come nella massima formula considerando che anche il pacco batterie è uguale per tutti e fornito dalla McLaren Applied Technologies. Ad ogni cambio di regolamento in F1 corrisponde una interpretazione delle specifiche, da parte dei team, che è il vero campo di gioco e dove gli ingegneri si lanciano in un nerd-out epico alla ricerca di ogni minimo margine tecnologico e scappatoia da poter sfruttare. Uno scenario competitivo che la Formula E non può avere.
Alla fine della giornata le impressioni complessive non si sono spostate di un millimetro rispetto al mio ingresso della mattina: la Formula E è uno spettacolare progetto di marketing e comunicazione sportiva. E’ intrattenimento prima di essere sport, al pari della Formula 1 per molti aspetti, ma gli manca completamente il pathos della gara, il senso estetico della velocità che, quando parliamo di auto, deve accompagnarsi al suono, la sfida tecnologica esplicita. Non ho ritrovato minimamente il brivido di una staccata, malgrado una gara zeppa di duelli anche molto duri. Resta una categoria interessante, sicuramente in crescita, un passaggio fondamentale per i Costruttori e le varie aziende che fanno ricerca sull’elettrico, ma nell’immaginario collettivo dei veri appassionati di corse è difficile pensare che la Formula E possa issarsi tra le categorie regine del motorsport mondiale.
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