La pandemia riscriverà le modalità e le forze di un mercato che si è dovuto arrestare di colpo per ragioni esogene al suo funzionamento. un disastro che per il motorsport italiano potrebbe rappresentare l’occasione per il grande passo
Cosa succede adesso? Si spera di entrare nella “Fase 2” il prima possibile, ma si partirà da fermi con fatturati inesistenti, costi fissi da sostenere, interi settori industriali in crisi, tutti gli Stati, anche se con differenti gradi di qualità e tempismo, chiamati ad azioni di supporto economico mai fatte prima e, chiaramente, tutte in debito. In questo scenario le aziende, organizzate all’interno di associazioni di categoria, hanno la possibilità di godere di una rappresentanza che in questi casi è in grado di mettere sul tavolo i numeri decisivi per guadagnare attenzione ed urgenza. Il motorsport? In Italia ognuno fa per sé. Questo è un momento unico per invertire la rotta.
Ho già scritto tempo fa un articolo sull’economia del motorsport in Italia. Una economia con valori interessanti, ma con informazioni, al riguardo, evanescenti e di difficile, se non impossibile, sintesi in un quadro generale. Personalmente ricordo che iniziai a parlare di valore economico del motorsport italiano più di dieci anni fa in un convegno sul marketing sportivo e ricordo che feci una fatica incredibile nel cercare qualche dato economico aggregato. Da allora, nessun passo in avanti.
A partire dal dopoguerra la crescita industriale di questo Paese si è contraddistinta da una dialettica tra imprese piccole in settori leggeri e grandi concentrazioni industriali in settori capital intensive. Nel corso dei decenni questa impostazione ha definito un territorio in cui l’apporto della piccola e media azienda, allo sviluppo economico ed alla libertà di intrapresa, è stato determinante e ha fortemente caratterizzato l’intero tessuto produttivo italiano e la sua capacità indiscussa di reagire prontamente ai cambiamenti di scenario.
Oggi, la competizione su un mercato globale fortemente interconnesso richiede dinamiche di investimento che privilegiano in modo indiscusso le grandi dimensioni e, quindi, le politiche di concentrazione. Ma ci sono interi settori che operano in mercati di nicchia ad alto valore aggiunto che si muovono con agilità e competenza, che riescono a mantenere alto il proprio livello di competitività, rappresentando anche dei punti di riferimento essenziali nella catena del valore delle grandi imprese e delle grandi multinazionali. In questo quadro, il tessuto economico italiano legato all’auto e al motorsport è caratterizzato da strutture di questo tipo: alta competenza e know-how, spesso processi produttivi ad alto livello tecnologico e output di qualità. Molte grandi aziende della filiera Automotive italiane, sono anche profondamente coinvolte nel motorsport (Brembo su tutte), ma il punto debole è nella quantità delle aziende che, invece, sono troppo piccole per sostenere con altrettanta agilità le dinamiche del mercato e la loro necessaria internazionalizzazione.
Il distretto economico come risposta necessaria
E’ dentro il concetto dei distretti che tutto il mondo ha sempre letto il forte dinamismo dell’industria italiana ed è questo il punto cruciale dal quale partire sopratutto dopo l’arresto traumatico che stiamo subendo.
[blockquote text=”Per distretto o filiera produttiva si intende un’agglomerazione di imprese, in generale di piccola e media dimensione, ubicate in un ambito territoriale circoscritto e storicamente determinato, specializzate in una o più fasi di un processo produttivo e integrate mediante una rete complessa di interrelazioni di carattere economico e sociale.” signature=”Wikipedia”]
Il distretto o la filiera produttiva, rappresenta l’unica e più efficace misura capace di allargare la dimensione competitiva delle imprese del motorsport italiane, favorirne la crescita e l’affermazione sui mercati internazionali, rafforzare il nucleo produttivo di un territorio, il suo sistema delle imprese. Un innesco capace di dilatare il fatturato di una zona, arricchirne il capitale umano e sociale attraverso la diffusione di conoscenze, realizzando contestualmente i traguardi della coesione sociale e della competizione. Un distretto genera, attraverso il rafforzamento della capacità competitiva, anche l’ulteriore capacità endogena di espandersi.
Solo in questo quadro dovremmo far ripartire il motorsport italiano, che vanta realtà di leadership ed eccellenza a livello mondiale che possono diventare le rappresentanze di punta di questo appello, la forza trainante di questa strategia. Pensiamo a Dallara, ad esempio. In quelle sperdute valli dell’Appennino Parmense, la Val Cero e Val Taro, negli anni si è costruito un territorio di assoluta eccellenza a livello internazionale. I dati sono chiari: nel 2012 queste valli ospitavano 17 fornitori di Dallara cresciuti a 28 nel 2018. Il totale degli ordini è passato da 3,2 milioni a 5,6. Sempre nel 2012, nell’intera provincia di Parma, il totale degli ordini a fornitori provenienti da Dallara era di 7,5 milioni di euro. Nel 2018 il valore si è più che triplicato a 24 milioni di euro.
Anche il grafico sopra mostra, con evidenza, il contributo che una singola azienda come Dallara è in grado di dare al proprio territorio: la crescita del valore aggiunto nell’ultimo triennio (2017-2019) nella Valle del Taro-Cena ha avuto un incremento del 5% mentre quello della Provincia di Parma del 3% e quello dell’Italia intera del 2,9%. Come efficacemente riportato nell’articolo del Sole 24 Ore, la consistenza tecnologica di un’azienda legata al motorsport è in grado di irrorare il resto della filiera.
In Italia di società che operano nel motorsport ce ne sono a centinaia, quante? Non si sa. Non è mai stata fatta una recensione al riguardo: andiamo dalla costruzione di vettura da corsa a quella di componenti, dalle aziende leader mondiali dell’abbigliamento tecnico a quelle dedicate alla produzione di compositi per finire ai team che, spesso, impiegano decine di addetti. Ma non è solo il manifatturiero perché la sfera dei servizi è altrettanto vasta: dalle società di engineering a quelle della comunicazione e del marketing, dalle società di eventi ai promotori e organizzatori sportivi fino agli stessi autodromi, impianti polifunzionali in grado di dare un grande contributo allo sviluppo del territorio in cui sono presenti, non solo sportivo. Vogliamo parlare, infine,del mondo del karting? L’Italia è indiscussa leader mondiale in questo settore, è quasi monopolista. Come si muove? Com’è organizzato? Ogni produttore fa per se.
il distretto del motorsport italiano. e’ ora di lavorare sul progetto
Se è vero com’è vero che il motorsport italiano è uno dei più forti, autorevoli e accreditati del mondo, è arrivato il momento di fare la conta e riunirsi sotto un unico tetto che sia in grado di rappresentare tutti gli operatori del settore. L’esempio lo abbiamo, possiamo copiarne pari pari struttura e modalità, si chiama Motorsport Industry Association (MIA) . Di fatto è una piccola confindustria del motorsport inglese. E’ l’associazione che ha coniato il nome Motorsport Valley per definire i territori dell’Oxfordshire e delle Midlands dove si concentrano tutti i team della Formula 1, i fornitori di tecnologie e le engineering che lavorano per il motorsport di tutto il mondo oltre a molte Università con corsi di studio dedicati. I numeri sono di assoluta eccellenza: oltre 4.300 aziende con un totale di addetti di oltre 40.000 persone. Un fatturato complessivo di oltre 10.3 miliardi di euro nel 2019 con il 90% di queste aziende che esporta la loro maggior parte di attività all’estero. Il 25-30% del fatturato investito in ricerca e sviluppo. Per un raffronto significativo il settore farmaceutico investe in media il 15%.
Questi sono i numeri che si sono sviluppati nel tempo perché? Perché il comparto, quando è strutturato formalmente, non solo è misurabile, ma è in grado di intercettare programmi di finanziamento, investitori istituzionali e privati e last but not least anche affrontare al meglio situazione drammatiche come la nostra. Un esempio? Da noi il comparto agroalimentare gode di strumenti di supporto pubblici come i contratti di filiera che, non si riferiscono alla situazione contingente, sono aiuti strutturali che agevolano investimenti e attività di promozione e comunicazione. Una dei tanti esempi che ben rendono idea di cosa voglia dire lavorare in un settore riconoscibile.
Da noi questo non esiste, abbiamo la Motor Valley che, almeno per adesso, è una associazione di carattere turistico che ben comunica le eccellenze motoristiche di una regione di grande tradizione come l’Emilia Romagna, ma che sta lavorando molto bene alla creazione di un vero e proprio sistema nervoso dedicato all’automotive. L’Emilia Romagna, d’altronde, sta ridefinendo le gerarchie dell’automotive industry italiana. Ma se dovessimo pensare ad un distretto del motorsport avremmo, più che un’area definita in una sola regione, un lungo corridoio che va da nord a sud, da est ad ovest dello Stivale: dalla Liguria, passando per la Lombardia, il Piemonte, l’Emilia Romagna, la Toscana e giù per le Marche, il Lazio, la Puglia e la Campania. In ognuno di questi territori troveremmo eccellenze industriali e del terziario legate al motorsport e molte delle quali di livello mondiale. Anzi leader mondiali.
Dal prossimo 4 maggio il nostro Paese inizierà a riavviarsi, le attività sportive ancora dovranno aspettare qualche settimana, forse da giugno potremmo risentire i motori negli autodromi, nel frattempo faremo la conta di chi ce l’avrà fatta e chi invece ha trasformato la sua fermata al box in un definitivo, mesto, ritiro. A prescindere dagli indubbi vantaggi economici, di immagine e sportivi che una filiera garantisce ad un sistema articolato come il motorsport, verrebbe da pensare: quanto avrebbe aiutato l’esistenza di una organizzazione di categoria forte e radicata nell’affrontare anche economicamente questa pandemia?