La gara con la Seat Leon Cup a Pergusa. Momenti elettrizzanti e intensi come i colori ed i sapori della Sicilia
L’Autodromo di Pergusa è lontano, al centro della Sicilia e in un posto che a vederlo è la somma delle potenzialità inespresse di questa Regione e di questo Paese. Un impianto fatiscente, ma splendido per la sua velocità, il pelo che serve per interpretare le varianti e per l’ambiente in cui è immerso.
Che se ci fosse la volontà potrebbe diventare una metà internazionale altro che la cattedrale nel deserto qual è adesso. Detto questo ci sono andato per correre con la Seat Leon Cup il terzo appuntamento della Serie. Con Ibiza Cup e con la sorella maggiore Leon partita quest’anno ad affiancarla, la Seat in Italia ha tenuto alto il gonfalone della sua tradizione motoristica non solo da noi, ma in tutta Europa considerando che qui è tra le Case più attive nel settore delle competizioni. La Leon Cup Racer l’ho già incontrata un paio di volte, è una macchina velocissima e molto bilanciata che, pur se profondamente modificata soprattutto nell’aerodinamica, mantiene le caratteristiche di fondo della sua sorella stradale.
E’ strutturalmente costante nel suo comportamento e questo è il pregio migliore che un’auto possa avere. Ci sono molti esempi di sportive stradali docili, sincere, coese, ma fino ad un certo punto, oltre il quale cambiano carattere diventando più ostiche, ruvide e nevrili. Stesso discorso per molte auto da corsa, che ti ispirano fiducia fino a lì, poi devi incominciare a combattere e a sudare. La Leon Cup no, qui dentro ti ritrovi, pari pari, tutti i pregi della stradale.
Che tu viaggia a 5 secondi dai tempi validi o sul filo della pole, lei si comporta sempre allo stesso modo con un inserimento spettacolare e un posteriore che scivola con dolcezza senza scomporsi violentemente, ma soprattutto dei freni possenti, senza ABS e un pedale con la giusta consistenza che ti permette di modulare la pressione in modo molto dettagliato.
E qui, a Pergusa, pista velocissima inframezzata da varianti molto impegnative e tecniche, la frenata prima, il giusto assetto poi e la spinta del motore sono caratteristiche essenziali che la Seat Leon Cupra Cup sfodera una dietro l’altra.
Non ho mai guidato a Pergusa, un anello un po’ scomposto che si snoda intorno all’omonimo lago. Sono quasi 5000 metri, veloci e tre varianti “Proserpina”, “Pineta” – chiamata comunemente Schumacher – e “Zagaria”. Molto tecniche la prima e la terza, molto imbecille, senza senso e spacca auto la seconda voluta dalla FIA per rilasciare l’omologazione perché, secondo gli “esperti” – e mi dispiace se tra questi ci fosse anche Schumacher – la curva leggermente parabolica e senza via di fuga, appariva troppo pericolosa. Malgrado questo la sensazione che ti lascia questo tracciato guidandolo è stata efficacemente riassunta da Enrico Bettera, uno dei piloti più forti della categoria: “questa pista ti lascia in bocca il sapore della velocità”.

Nessuno ha dati in archivio da cui attingere regolazioni e consigli. La Seat Motorsport Italia è a zero, prima volta per la squadra e prima volta per Valentina Albanese che qui è venuta per correre il CITE (Campionato Italiano Turismo Endurance) con una versione della Leon praticamente identica alla mia, ma con un cambio manuale elettro attuato al posto del doppia frizione rivisto nella mappatura, ma strettamente di serie. “Qui non c’è nulla di particolarmente elaborato da studiare, gas aperto e tagliare le chicane il giusto. Se non si fa, il tempo non uscirà mai. Se lo si fa troppo si rischia di spaccare la macchina. Il tuo turno è prima del mio, al limite mi spiegherai tu, dopo”. Non è stato così perché i consigli veri me li darà lei, consigli che mi permetteranno di staccare i tempi dei migliori.
La Leon Cupra Cup è più leggera della versione stradale di 245 chili e più potente di 50 cavalli (330 vs 280) ma le principali differenze sono nell’assetto che presenta la stessa geometria, ma con ammortizzatori e molle regolabili e nei freni che sono padelloni da 362 mm all’anteriore contro i 340 mm della stradale. Posteriormente, invece, i dischi sono leggermente più piccoli con 272 mm contro i 310 mm della versione di serie. L’aerodinamica superiore e inferiore è estremamente curata sia nella ricerca attenta della gestione dei flussi che della deportanza. Aderenza meccanica e aerodinamica come nelle migliori auto nate per le corse.
Tra la prima sessione di prove libere e la seconda ho tolto quattro secondi, passando da un conservativo 1’59 a 1’55’2. Nessuno sforzo particolare se non quello di interpretare al meglio il passaggio sui cordoli. Si arriva veloci a oltre 220 km/h frenando violentemente a 100 metri per poi a 50 ridare gas per affrontarli con l’auto in piena accelerazione e il più scarica possibile. Valentina lo sottolinea con forza: “guai a passarci sopra senza gas o, peggio ancora, il leggera frenata, con i dissuasori che ci sono e, comunque, con cordoli così alti, rischiamo di spaccare tutto”. Alla fine del week end, comunque, le rotture, per tutti, non si lesineranno.
Parte il turno di qualificazione, mi stringo bene nelle cinture e premo lo starter sul volante. Il motore si risveglia sbraitando come una cane a cui hanno pestato la coda. Un giro per riscaldare le nuove gomme anteriori e via, a cercare di concretizzare due turni di prove libere in un tempo da qualifica. L’auto si infila nella prima esse dopo il traguardo in maniera pulita, è insidiosa perché arrivi da una frenata che se fai bene riesci a gestire ingresso e uscita ballando sui cordoli in trazione altrimenti, se allunghi troppo l’ingresso rischi di uscire sull’erba alla seconda curva a destra, vaneggiando l’intero giro. Le gomme Yokohama hanno grip in quantità, i freni sono perfetti e modulabili e ha un equilibrio semplicemente perfetto: neutrale con una leggera tendenza al sovrasterzo proprio in inserimento curva, quel tanto che basta per allinearti magnificamente in uscita. Un breve allungo di quarta poi la prima secca a destra e apre il deciso salto sui cordoli di tutto il giro. Mi immetto nel lungo rettilineo spezzato dalla variante Proserpina, quarta, quinta, sesta, qui è tutta una questione di potenza, non di coppia.
Quando la spia di cambiata si accende si aspetta fino all’ultimo millisecondo per sfruttare ogni singolo cavallo dei 330 che hai a disposizione. Il motore sbraita, la Leon Cup è un vero sballo. Mi avvento verso la staccata della Proserpina a oltre 220 km/h e con le parole di Valentina Albanese che mi ritornano in mente: “stacca violentemente a 100 metri, arrivi a 50 e vedrai la variante, lì, solo in quell’istante, come un rettilineo. Giù tutto e taglia”. Il fatto è che dove dovresti passare ci sono dissuasori in gomma dappertutto, guai a metterci le ruote scarichi, le sospensioni durerebbero pochi giri. Date un occhiata al video on board dove la questione è più chiara e dove seguivo Antonio D’Amico, uno dei piloti più forti della Serie e vincitore di gara 2.
Superata la Proserpina di nuovo sul lungo rettilineo destrorso interrotto dalla sgradevolissima “Chicane Pineta” la più inutilmente delicata di tutte perché spacca macchine. Il fatto è che ci devi arrivare il più velocemente possibile, staccare a morte intorno ai 50 metri e immediatamente dopo spalancare il gas, tagliare appena l’ingresso e pieno l’uscita, zeppa di fastidiosi dissuasori in … cemento. In caso di indecisione lì la macchina la perdi e non ci sono vie di fuga, se la fai male, cioè ci arrivi scarico, condanni a morte sospensioni e trasmissioni prima della fine della gara, se la fai più prudente perché soffri insieme alla tua auto, perdi almeno mezzo secondo. Il mio caso. Uno dei passaggi più insulsi e dannosi che io abbia mai guidato su una pista da corsa. Spettacolare per le foto, ma niente di più. Anche in questo caso rendetevi conto voi guardando il video. Poi di nuovo si respira, l’auto la distendi in velocità e ti avventi verso la “Variante Zagaria” altra bella sezione tecnica della pista. Anche qui: frenata come se non ci fosse un domani, punti il cordolo di entrata della prima a sinistra, con il gas già aperto, ci monti sopra ma non tanto per non sbilanciare troppo l’auto, poi sul cordolo interno destro con il muso puntato verso l’esterno, come a voler uscire di pista, terza e dentro, tagliando of course, per l’ultimo transitorio prima del rettilineo. Il giro è finito e io, alla fine, segnerò un 1.52.27 che mi piazza al sesto posto a mezzo secondo dai piloti più veloci.
Prima di chiudere voglio dedicare l’ultima nota, ancora una volta, alla Seat Motorsport Italia guidata da Tarciso Bernasconi. Un’azienda, una squadra, che non smette mai di stupirmi: puntualità, calma, professionalità e rigore e sempre, costantemente, con il sorriso stampato sulla faccia. Li conosco da molto tempo, ho corso l’anno scorso con la Ibiza e ancora una volta la sensazione che mi porto a casa è quella di una organizzazione più adatta ad un palcoscenico mondiale che al motorsport nostrano. Ogni componente del team è perfettamente autonomo, la guida c’è, la struttura gerarchica pure, ma ognuno conosce il suo ruolo e i tempi che richiede, si muovono coordinati, ma indipendenti, meccanismo oliato alla perfezione, squadra che respira all’unisono. Li osservavo seduto al box, poche parole, testa bassa, gestione delle rotture, compreso il mio ponte posteriore in gara 1, con la calma serena di chi ha pianificato tutto. I loro movimenti, i ritmi, mi hanno ricordato la mia visita al box della Red Bull durante il GP d’Italia dello scorso settembre. Impressionante. Chapeau.