Il climate change considera la co2 il focus nella battaglia al riscaldamento globale e la normativa sull’automotive si e’ concentrata su questo gas prodotto in emissione, ma questo e’ sbagliato e i numeri lo dimostrano.
Nel 2035 vedremo nelle concessionarie solo auto alla spina, le auto termiche vivacizzeranno un mercato dell’usato che nei prossimi anni avrà un peso sempre maggiore nel business complessivo dei Costruttori e anche se la norma prevede l’introduzione dei carburanti sintetici, l’elettrico sarà lo scenario quasi certo per l’auto di massa e dopo centinaia di miliardi di euro già investiti (e molti altri impegnati) i Costruttori non ritorneranno indietro.
Cosa sono i GHG
La lotta al cambiamento climatico parte da lontano (Protocollo di Kyoto del 1997 entrato in vigore nel 2005) mettendo al centro del problema l’insieme dei gas clima alteranti (GHG GreenHouse Gases o Gas ad effetto serra) quali responsabili del riscaldamento globale. La lista di questi elementi comprende:
- CO2: prodotta dall’impiego dei combustibili fossili in tutte le attività energetiche e industriali oltre che nei trasporti;
- CH4 (metano): prodotto dalle discariche dei rifiuti, dagli allevamenti zootecnici e dalle coltivazioni di riso;
- N2O (protossido di azoto): prodotto nel settore agricolo e nelle industrie chimiche;
- HFC (idrofluorocarburi): impiegati nelle industrie chimiche e manifatturiere;
- PFC (perfluorocarburi), impiegati nelle industrie chimiche e manifatturiere;
- SF6 (esafluoruro di zolfo): impiegato nelle industrie chimiche e manifatturiere.
Ciascuno di questi gas ha un proprio e specifico GWP (Global Warming Potential), che sostanzialmente corrisponde alla “capacità serra” di quel composto in relazione a quella della CO2, convenzionalmente posta =1, lungo un intervallo temporale che normalmente è a 100 anni
Come si può notare dalla tabella, tutti gli altri gas hanno un potere clima alterante molto più alto della CO2, ma quest’ultima rappresenta il gas più rilevante perché contribuisce per oltre il 55% all’effetto serra. E’ il gas, in poche parole, il cui contenimento ha gli effetti più importanti sul clima. E’ talmente centrale la CO2 che quando si vuole considerare l’impatto complessivo di tutti gli altri gas si parla di CO2 equivalente (CO2e)
Ma come funziona questa CO2?
Questo gas, inquadrato nei cicli biogeochimici naturali, rappresenta un composto atmosferico “naturale” risultato della ossidazione delle molecole organiche (le cd. molecole della vita) che vengono definite carboniose proprio perché strutturate intorno all’atomo di carbonio. La CO2 non è tossica, non è nociva: è un composto atmosferico “naturale”.
Una volta generata tramite respirazione cellulare, combustione o decomposizione delle molecole organiche, la CO2 trova il suo “destino ambientale” in atmosfera, dove contribuisce all’effetto serra naturale cioè quella termoregolazione automatica della Terra che permette condizioni idonee alla nascita ed al mantenimento della vita. Una sorta di “maglione naturale”, insomma, che grazie ad un complesso bilancio termico mantiene una temperatura relativamente omogenea e costante su tutta la crosta terrestre.
Cosa si è rotto nel meccanismo della CO2 e quando
L’andamento della curva della emissioni di CO2 connesse con le attività umane (attività antropica) ha iniziato ad crescere a partire dal 1700 per poi impennarsi letteralmente, con un andamento praticamente verticale, a partire dal 1950. E’ questo il fenomeno che sta determinando il riscaldamento del clima terrestre con conseguenti squilibri nel comparto atmosferico, idrico e biologico.
La curva pubblicata (fonte: Climate Nasa) dimostra un andamento che per migliaia di anni si è mantenuto perfettamente ciclico e compreso in un perimetro piuttosto stabile. Perimetro che l’attuale tendenza ha completamente sconvolto. L’attuale tendenza al riscaldamento è chiaramente il risultato delle attività antropiche che hanno contribuito ad innalzare il livello dei gas serra, in pole la CO2, con conseguente “intrappolamento” di una maggiore quantità di energia solare nel sistema Terra.
Le prove scientifiche del riscaldamento del sistema climatico sono inequivocabili
L’obiettivo unico dell’auto totalmente elettrica entro il 2035 è inutile
L’idea di convertire la mobilità privata e commerciale leggera completamente da ICE a BEV a partire dal 2035, è sostanzialmente inefficace e strutturalmente inutile
L’obiettivo della “Fit for 55” è quello di raggiungere, entro il 2050, la neutralità climatica. Non l’azzeramento della CO2 tout court, ma solo quella prodotta senza compensazioni.
E’ la quantità complessiva di CO2 emessa annualmente il parametro da gestire e le soluzioni per affrontare la sfida sono ovviamente un mix di interventi a medio e lungo termine che hanno tutti un obiettivo comune: la produzione al 100% di energia elettrica da fonti rinnovabili. Se non si parte da qui, tutto il resto è palliativo o quasi.
Quanto pesa la CO2 prodotta in Europa e quanta responsabilità ha l’automobile nelle emissioni globali
Parliamo un po’ con i numeri. Il grafico sotto mostra il totale delle emissioni di CO2 nel mondo, espresse in percentuali, diviso per settori:
- Il comparto “Transport” pesa circa l’16% del totale settore “Energy”;
- Il sottoinsieme “Passenger Cars” pesa circa il 40% del comparto “Transport” in termini di emissioni di CO2
Queste sono invece le emissioni in Europa divise per settore con un totale Europeo che pesa, sul complessivo globale della CO2 emessa, il 7.5% :
In Europa il settore trasporti pesa circa un terzo della voce Energia. Quindi circa il 25% . Se pensassimo di trasformare magicamente l’intero parco circolante UE da ICE a BEV avremo un effetto migliorativo, in termini di emissioni di CO2 a livello globale (non confinato alla UE) praticamente irrisorio.
Senza rinnovabili le percentuali di abbattimento della CO2 sono letteralmente inesistenti
Se consideriamo la produzione attuale di energia elettrica in Europa, questa è coperta da fonti rinnovabili per meno del 22% e questa percentuale e il suo andamento sembrano difficilmente in grado di soddisfare il target al 2030 del 45%.
Questo cosa significa? Che, per assurdo, un parco circolante di circa 240 milioni di vetture (UE+EFTA) completamente elettriche richiederebbe un aumento di produzione di energia elettrica che, con le fonti di produzione dei prossimi 10 anni, non solo si andrebbe a mangiare quell’eventuale timidissimo risparmio guadagnato con le auto a zero emissioni in circolazione, ma ci aggiungerebbe un carico emissivo ben superiore. Senza ragionare per paradossi, un mercato solo elettrico che contribuisce veramente al rallentamento delle emissioni, dovrebbe essere alimentato esclusivamente da energie rinnovabili. Ad oggi apparirebbe impossibile anche considerando una progressione best scenario prevista dalla IEA per il 2027 che vede la percentuale di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili salire al 38% rappresentando la prima fonte di generazione di energia
Ecco perché questa transizione forzata ad una mono tecnologia (quella elettrica) che sta costando miliardi, che mantiene i CEO delle Case con il fiato sospeso e il mercato sempre così indeciso, non rappresenta la strategia migliore verso un mondo a impatto zero che, appunto, non vuol dire zero emissioni. Sostenere la ricerca, imporre un obiettivo, ma non le modalità per raggiungerlo. La mobilità elettrica è e sarà la scelta principale, quella a più alta percentuale di mercato, ma agevolare gli investimenti in e-fuel, considerare i bio carburanti prodotti da materie prime biogeniche (piante, semi, scarti organici e che non sono in concorrenza con la produzione alimentare) che consentono, già adesso, un abbattimento della CO2 fino al 90%, l’idrogeno, lo stesso Euro 7 che, se non fosse per questo stop deciso al 2035, rappresenterebbe anch’esso un prezioso alleato per agguantare il traguardo della neutralità climatica, i sistemi di filtraggio che sono arrivati a livelli di raffinatezza molto elevati, sono tutti elementi che lascerebbero aperte scelte strategiche di investimento e, perché no, anche la possibilità di difendere quella superiorità tecnologica della industria europea che, adesso, è destinata a sparire.
La CO2 non rispetta i confini geografici
Infine una ultima doverosa considerazione: la CO2 prodotta va ad alimentare una concentrazione già presente in atmosfera. Uno stock che si ingrandisce a prescindere da dove questa CO2 viene generata e non è un caso che i dati dell’IPCC parlano sempre di emissioni globali. Una Europa a zero emissioni continuerà a combattere con una CO2 da controllare e da gestire, quella non si ferma alle frontiere a chiedere il permesso. Facile no?