La conoscete la serie di video di Peugeot con la 208 T16 e un Andreucci scatenato spesso affiancato dall’immancabile e bravissima Andreussi? Ecco una di quelle storie che io adoro e sulla quale ritornerò presto a scriverci sopra. Intanto rispolvero, dal mio personale archivio, la bellissima esperienza sull’Etna di fine 2014, quando partecipai (da spettatore, ma pure no) all’impresa di una scalata … un po’ fuori dall’ordinario
Quella linea così aggressiva abbiamo imparato a conoscerla a furia di vittorie. Spesso con la grafica spudoratamente infangata e la carrozzeria incerottata per le botte prese in battaglia. La Peugeot ne ha infilati 7, di titoli italiani rally, l’ultima con la 208 T16 guidata da Paolo Andreucci che di titoli, in cascina, ne aveva messi giù due in più. Con la Casa del leone rampante Paolo “Ucci” Andreucci corre, corre a testa bassa dal 2009. E gli avversari ci provano puntuali ogni stagione. Gli si avventano contro, uguali a licaoni affamati, ma niente. Lui spinge sul gas, picchia come un fabbro, in quella specialità dove la guida è tecnica che si porta dentro dosi, a mazzi, di improvvisazione.Ecco, il fascino dei rally è tanto free jazz quanto la velocità è il rigore di una toccata e fuga in Re minore di Bach.
Lui guida e l’unica a tallonarlo da vicino e la voce e la presenza della sua navigatrice Anna Andreussi ché senza di lei forse questa sequenza di vittorie assolute da pallottoliere neanche ci sarebbe. Paolo e Anna, che vanno oltre l’aspetto sportivo, che sono in due e in questa specialità è molto più del doppio di uno. Una coppia unita anche nella vita. Insieme hanno portato la 208 R5 lassù. In cima. Correndo forte come dannati su strade imprevedibili nei rimbalzi, in salti da grillo, tra prese d’asfalto sfuggenti che irridono le traiettorie ideali. Sempre davanti, cannibali lui, Anna e i ragazzi della Racing Lions, mai soddisfatti perché è così che si fa. Per vincere ci vuole cazzimma.
Quelle idee che diventano nuova sfida: come la 208 T16 a scalare la lava dell’Etna, su su fino al cono del vulcano. Per esempio.
[blockquote text=”L’idea ha una genesi piuttosto lunga. Una intuizione di quando, a febbraio del 2012, eravamo sullo Zoncolan con Andreucci e la 207 Super 2000 alle sei del mattino a girare il video. Un paesaggio incantato e in mezzo alla temperatura polare, accorgendoci che stavamo facendo “un’impresa”, ci siamo detti: la prossima volta al posto del ghiaccio e della neve dobbiamo andare a cercare il caldo ed il fuoco…il vulcano era il terreno ideale. Ci piaceva molto l’idea della macchina e dell’Uomo che sfidano la natura. Portare un’auto da gara su una pista da sci era un’impresa, portarla su un vulcano era la nuova sfida. Visto il successo del video sullo Zoncolan ci siamo mossi quasi subito per trovare la location. L’Etna ancora in attività era lo scenario ideale. Un progetto partito già durante la Targa Florio 2012 quando abbiamo fatto i primi sopralluoghi con il team per vedere la fattibilità tecnica della cosa…la macchina sarebbe riuscita a scalare il vulcano? Le pendenze, il fondo e la lava lo avrebbero permesso? Confortati in questo, mancava solo una cosa. La vettura. Per noi la 208 T16, la nuova vettura da rally del Leone avrebbe dovuto essere la protagonista. La abbiamo aspettata a lungo ma il desiderio di tutti alla fine si è realizzato”.” signature=”Carlo Leoni | Responsabile Comunicazione e Motorsport Peugeot Italia”]Portare la 208 T16 a scalare le nere pendici dell’Etna e poi ripartire dal cono del Vulcano e scendere verso la pianura e la costa catanese. Accarezzare su e giù con un’auto da corsa i fianchi del gigante che non ha mai smesso di sbuffare nel mezzo di uno dei contrasti più entusiasmanti della natura: la neve e la lava nera, che si fa striscia densa e solida, come un immenso nastro di lutto posato sulla terra. I catanesi le chiamano, nel loro dialetto meraviglioso e antico, le sciare, che non è l’infinito del verbo.
Io ero con loro.
Una collezione di attimi indimenticabili. Due giorni per niente facili con un nubifragio bastardo che fino all’ultimo sembrava invitarci all’abbandono, una prova disperata sopra le nuvole che, da sotto, nascondevano una cima limpida tagliata da un vento gelido, una discesa a tre, io, Paolo Andreucci e la 208 T16 che si sbrigliava agile e veloce, velocissima su quella strada nera e tagliente. Momenti sì. Decisamente.
L’auto sul vulcano non era la difficoltà principale.
Conciliare l’attività che avevamo in mente con il rispetto del territorio. L’Etna è parte integrante di un Parco Nazionale e il progetto aveva proprio l’obiettivo di valorizzarlo e promuoverlo. Il feeling che abbiamo subito trovato con l’Ente Parco e i comuni circostanti è stato da subito affiatato e sinergico. Il video è stato percepito come un’opportunità per tutti.
Ci sono percorsi, ambienti, che vanno al di là di loro stessi, che trasportano un carico di emozioni che li trascendono diventando storie da raccontare. Arrivo alle pendici dell’Etna il giorno prima, quando le nuvole ancora nascondono il carico d’acqua che a partire dalle prime ore dell’alba avrebbe tormentato l’intera giornata, quasi piegando il programma ad una mesta rinuncia. Non c’ero mai stato e la prima cosa che mi colpisce è la lava nera nella sua discesa pietrificata ad imprigionare se stessa e ad inglobare indifferentemente quanto incontra.
E’ una vista mozzafiato, materia viva in movimento inarrestabile che si converte in crosta monocromatica dove gli elementi del mondo superstite (edifici e alberi) acquistano, per contrasto, nuova brillantezza perdendo in parte le loro caratteristiche originali. La lava sospende i significati e confonde i riferimenti spaziali.Me ne accorgerò il giorno dopo, a bordo della 208 T1
Il giorno si apre con una pioggia di quelle viste raramente. L’albergo è accogliente ma dobbiamo uscire, avviarci verso la base, punto di partenza per arrampicarci in cima dove operatori video e fotografi avrebbero immortalato il racconto di una Peugeot da rally e il suo pilota a sfidare, scalandoli, i muri neri delle sciare. E invece ci troviamo tutti in un piccolo bar di un paesino dei comuni etnei. Ci passiamo la mattina intera, a pranzo questo locale qualunque ti tira fuori arancini e supplì che danno senso ad una giornata che non ne aveva. La pioggia stava inzuppando terra e speranze. Di colpo una telefonata di quelle che ti regalano una idea: verso la zona di lavoro, sembra incredibile, il tempo dava tregua. Si erano arrampicati oltre il muro di nuvole imbottite di aria fradicia e lassù il vento le teneva al largo. Era tempo per provarci, ma di fretta perché il pomeriggio correva veloce verso sera, le ore mute per i monti. Ci arriviamo di corsa. Gli uomini del team avevano già spedito lassù auto e pilota, e fotografi e assistenza, insomma tutti. Io e pochi altri li raggiungiamo con un Unimog U5000 allestito autobus. Una esperienza nell’esperienza. Ci arrampichiamo dalla base a 2500 metri fino a sfiorare quota 3000 metri verso il campo lavico della Torre del filosofo. Lungo la strada la Peugeot e Andreucci sembrano un’unica bestia che si infila, si ritrae, si attorciglia intorno ad una roccia più grande delle altre, si stende, si arresta, cambia direzione lasciando una scia di pneumatici che scavano una traccia lunga così. Una firma, quelle impronte, quasi a oltraggiare l’immensità di questa parete nera che l’Unimog sfila di lato. Attraverso i finestrini mi godo lo spettacolo e poi passiamo oltre, superiamo il campo d’azione per fermarci un po’ più su. Scendo. Non è vento, ma una spinta costante e gelida che sferza il corpo, faccio fatica a tenere gli occhi aperti, anche a rimanere in piedi se è per questo. Urlo senza sentire la mia voce. Siamo alti, cerco con lo sguardo la cima, il vento ha sperduto tutte le nuvole tranne una che punta la vetta, ci finisce addosso sfasciandosi, fasciandola. Un poco più sotto, sparsi su quella marea nera, lo staff impegnato nelle riprese e la 208 T16 che continua a collezionare passaggi e allunghi. Dall’alto Paolo Andreucci guida a sensazione, come certi collaudatori di pneumatici che, al netto di tutta la tecnologia, sono loro che indirizzano il lavoro di sviluppo. E così anche Ucci oggi insegue una sua personale traiettoria, quasi volesse rispettare “A Muntagna” come viene chiamata dai catanesi.
A guardare dall’alto, la Peugeot apre strade, il vento trasporta l’urlo dei quattro cilindri, ne ripete il grido a rimbalzare tra le pareti. Il bianco della T16 è un accostamento perfetto, scivola veloce disegnando acrobazie, traversi e salti, e ne ripete alla perfezione il tracciato. Come un musicista sa ripetere musiche ascoltate solo una volta, Andreucci sembra aver disegnato i suoi passaggi in un percorso preciso, da seguire a mente e mettere le ruote dove le aveva messe cinque minuti prima. Perfetto.
Scendo. A piedi. Sfido il vento che mi prende a schiaffi, ma voglio raggiungere il gruppo camminando sulla sciara. Mi rendo conto solo adesso che è tutto meno che un piano regolare: solchi e picchi, canyon in miniatura che guai a caderci sopra, possono aprire le tue mani come un rasoio. E penso ai pneumatici. “Marco entra dentro, scendi giù con Paolo”. Era quello che volevo sentirmi dire. Mi infilo nell’abitacolo, veloce, è il posto di Anna, ma io sarò muto. Non tolgo neanche il giubbotto, meglio non raffreddare muscoli e riflessi. I suoi.
Paolo è lì pronto e legato, mi passa un pezzo di cintura, per il resto faccio io. Il clanck della trasmissione, prima marcia, si scende. Parte veloce, l’assetto della 208 T16 mi fa venire i brividi perché sembra galleggiare sopra un catino di rocce che rimbalzano in su e che non mostrano fine. Scendiamo eppure mi sembra di salire. Paolo è concentrato, guida forte, lo sa che a me piace così, accarezziamo spesso il bordo di qualcosa, non so se è quello del tracciato o l’inizio di un precipizio. La 208 T16 urla e ringhia, morde con i Pirelli da terra che sfidano sfacciati la forza della lava. Gli allunghi producono un’accelerazione che mi sorprende, me le immagino le orme che lasciamo sotto di noi. In uno di questi perdiamo anche l’ancoraggio e allora, al loro posto, produciamo un accumulo d’aria. Corriamo veloce, per creste e discese, passaggi su costoline di tracce disegnate sulla ruga del vuoto. Stiamo misurando il fascino magnetico delle sciare che scendono a valle guidandoci sopra, come solo il pilotaggio alto di Paolo “Ucci” Andreucci poteva osare. Ci stiamo mettendo al vento, alle pietre, chiediamo passaggio a tutto, anche alle nuvole.
Dopo un tratto guidato c’è un nuovo allungo e poi un traverso difficile, non guardo fuori, guardo Paolo, movimenti contati, quasi andasse al risparmio, ma è la fronte increspata di sforzo e il broncio di concentrazione sulle labbra a tradire il suo impegno. La cosa mi piace, ché la sta prendendo sul serio. Non c’è nulla di teatrale in quello che fa, ogni gesto produce un riflesso condizionato lungo tutto il “corpo” della 208. Sono una cosa sola, anche senza Paola. Che sotto sotto secondo me è anche un po’ gelosa. Dopo qualche minuto di splendida apnea arriviamo in fondo valle. Abbiamo sulla testa nuvole e schizzi di un sole che sta sparendo, mi levo il casco e la testa al primo vento sfiata i pensieri chiusi. E’ stato semplicemente meraviglioso.
Tutto questo per inseguire un desiderio: portare la 208 T16 a scalare l’Etna. Per esaudirlo sono riusciti a metterci le ruote sopra. Ma non l’hanno calpestato, l’hanno sublimato.