Dietro ogni auto c’è una meravigliosa storia e la questione è magistralmente tratteggiata nel docufilm Ferrari 312B diretto dal regista Andrea Marini. La rinascita di una delle più belle Formula 1 di sempre
[dropcap]Q[/dropcap]uesta è la storia di una Ferrari, la 312 B, che rappresenta una delle più belle monoposto di sempre, ma ancora prima che la storia di una ricostruzione è il racconto di tutte le emozioni, le paure, le gioie e le difficoltà di questa impresa. Per la prima volta l’auto, che è il centro della scena narrativa, diventa quasi pretesto per parlare degli uomini che l’hanno così fortemente voluta, ma anche del mondo del suo tempo: quella Formula 1 degli Anni ’70 così vivida e romantica, dove i piloti venivano tratteggiati come “Cavalieri del rischio” per il registro della loro esistenza, del loro stile, in pista e fuori.
Gli uomini del progetto
Ad iniziare da Paolo Barilla, industriale dal cognome di chiara fama, ma prima ancora pilota di F1 (una quindicina di Grand Prix alle spalle con Minardi) e la vittoria alla 24 Ore di Le Mans del 1985 alla guida di una Porsche 956 del team Joest. Poi l’Ing. Mauro Forghieri che progettò la monoposto e che ritrova dopo decenni il gusto di una sfida forse ancora più elettrizzante e infine i motoristi, tra i quali ho riconosciuto Gaetano Lionti della Ellegi Motori e Stefano Scalzi della Motortecnica. Questi i protagonisti di 90 minuti circa di racconto meravigliosamente diretto dalla regia di Andrea Marini e la fotografia di Emanuele Zarlenga.

La Ferrari 312B non è solo una monoposto di Formula 1, ma è la testimone di un tempo dove le storie sportive raccontavano anche momenti di epico coraggio, dove la vita da corsa non era solo dentro gli autodromi, ma anche fuori.
Ed allora ecco la lunga sequela dei contributi narranti. Da Niki Lauda a Jackie Stewart, passando per Jacky Ickx, Gerhard Berger, Damon Hill e giornalisti del motorsport come un impareggiabile Giorgio Terruzzi, Nigel Roebuck e Bob Constanduros, voce ufficiale del Mondiale di Formula 1.
Proprio grazie alla presenza di questi testimoni, il docu-film acquista spessore e ritmi narrativi efficacissimi. Una struttura del racconto a cornice dove le storie si incastonano temporaneamente all’interno di altre. Il lungo e complesso restauro che si inframezza con flashback del tempo, il Mondiale del ’70, le immagini originali, i commenti dei vari contributor, per poi ritornare al presente.
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La storia
Dal bellissimo articolo di Mario Donnini su Autosprint leggo alcuni preziosi dettagli che aiutano a dare un senso ancora più alto all’iniziativa.
[blockquote text=”Tutto inizia nel 2014 quando scovo la monoposto a San Francisco lontanissima dallo splendore originale in cui ha vissuto i suoi momenti trionfali. E, sai, alla mia età s’acquista il gusto della rimembranza e il piacere di riscoprire certi sogni di gioventù, magari salvandoli per custodirli meglio” signature=”Paolo Barilla “] Barilla allora la prende, la riporta in Italia e al suo fianco chiama Mauro Forghieri. [blockquote text=”Il torrenziale genio neo-rinascimentale capace di pensare, progettare e gestire qualsiasi parte delle opere d’arte semoventi e sfreccianti da lui prodotte. ” signature=”Mario Donnini”]Che per molti versi mi è venuto da subito, alla fine del film e ancora seduto in platea, individuarlo come unico co-protagonista della storia. Mi spiego: lui, l’ingegnere ancora giovanissimo che progettava tutto, telai e motori con la visione spesso fuori dal gruppo, con la strafottenza, la dismisura, lo sfoggio impudente di bravura con cui ha firmato le sue vetture.
E la coppia si ricrea, il papà e la sua creatura da riportare all’antico splendore, ma senza carte, piani di riscontro, progetti, calcoli originali, ché quelli sono gelosamente custoditi a Maranello. Tutto a memoria: misure, tolleranze, coppie di serraggio, tutto. E allora via a dirigere il gruppo di lavoro messo in piedi da Barilla, con i motoristi a ricostruire componenti meccanici, a revisionare, a riportare a nuovo il dettaglio più piccolo e dove le cose non andavano, come lui richiedeva, giù a strigliare in dialetto emiliano, a riprendersi i ritmi di guida di uomini a lui così consoni e naturali.

Un lavoro di restauro, rettifica, ripristino minuzioso, attento, difficile con l’unico traguardo: il GP F1 Historique di Montecarlo di maggio. Sedute di test all’Autodromo di Franciacorta, corsa contro il tempo e difficoltà sempre nuove. Non voglio andare oltre perché con più di 150 ore di girato complessivo un (sicuro) DVD sarà talmente ricco di backstage e di scene tagliate che, come dice ancora Mario Donnini: “l’opera potrebbe distinguersi come tra le più ricche mai realizzate quanto a materiali extra”. Nessuno spoiler quindi. Ma alla fine, quei due minuti intensi di Paolo Barilla con gli occhi lucidi trasmettono una bellissima, intatta emozione allo spettatore.
La sua passione, la capacità di mettere insieme un gruppo di lavoro costituito da professionisti lontani dall’essere famosi ai più, ma che rappresenta la competenza e la dedizione che il settore del motorsport italiano è in grado di produrre, è misura della straordinaria iniziativa che ha realizzato. Paolo Barilla, con questa sua meravigliosa avventura, diventa uno dei testimoni assoluti di cosa voglia dire il motorsport: la Ferrari 312B è il prodotto di una cultura, tecnica, umana e sportiva, che conosce l’arte di lasciare andare una storia lontano. Raccontare il motorsport, vuol dire raccontare le emozioni degli uomini che stanno dietro ogni impresa. Ed è sempre bellissimo farne parte, anche solo da spettatore.

Tra Flashback e Flashforward
Andrea Marini, il giovane regista del docu-film, Emanuale Zarlenga, il direttore della fotografia, il montaggio di Danilo Torre, tutti nomi che a me dicevano il nulla assoluto. Fino ad adesso. A vedere lo svolgersi della storia tra narrazione del presente, salti a ritroso nel tempo, l’ingresso dei vari personaggi narranti, tutto è divinamente fluido, nessuno sforzo apparente di regia o montaggio, nessuna forzatura tra scene e contesti diversi. Una collezione di momenti che si dispongono uno dentro l’altro, ma senza mai increspare la trama. Una fotografia esatta, limpida, un montaggio perfetto dove ad ogni pezzo ce n’era un’altro nato per stare accanto a lui e, considerando l’enorme mole del girato, è stato un lavoro con una morbidezza direttamente proporzionale alla fatica di selezionarli nel grande mucchio del tutto.
Infine la tecnologia di ripresa merita una citazione. Girato in 4K. i dettagli godono di una fedeltà esaltata anche dalla tecnologia digitale HDR EclairColor. Sviluppata da Eclair e CinemaNext (YImagis Group), questo innovativo metodo di ripresa esalta le immagini e la profondità di campo della scena e a goderne è stata la fotografia. Un ulteriore elemento che ha reso questo immancabile docu-film un grande tributo alla vettura, agli uomini e al significato più profondo del motorsport stesso.
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