La storia del motorsport è costellata di momenti che valgono un film da quasi 100 milioni di dollari come questo. Le Mans ’66 ci riporta all’epica rivalità tra Ferrari e Ford nello scenario della 24 Ore di Le Mans, quando l’automobilismo da corsa, per essere vero, doveva confrontarsi con la spietatezza di questa gara di durata
[dropcap]F[/dropcap]orse non ho mai assistito ad un battage pubblicitario dedicato a un film di corse automobilistiche come questo Le Mans ’66. Più di Rush di Ron Howard del 2013 sulla rivalità tra Lauda e Hunt. Resta il fatto che, ancora una volta, il mondo del motorsport si dimostra un formidabile terreno di coltura da cui estrarre grandi storie di uomini.Tutto parte dallo sprezzante rifiuto di Enzo Ferrari di abdicare al controllo della divisione corse della sua Casa automobilistica. I (tanti) soldi offerti dalla Ford Motor Company avrebbero rappresentato l’ossigeno necessario per continuare ad alimentare un mito che stava crescendo giorno dopo giorno, ma il limite era, per Ferrari, chiaramente descritto: nessuna ingerenza nell’attività sportiva. Non era una richiesta, era una imposizione che Henry Ford II non poteva accettare, un rifiuto che per lui era un affronto personale. Da qui la decisione di battere, umiliare la Ferrari nel suo campo: la 24 Ore di Le Mans.
Che dite? Da questa storia non valeva la pena tirarci su una sceneggiatura? Ci ha pensato l’inglese Jeremy Butterworth con la regia di Jamen Mangold che hanno scelto di mettere nelle parti, rispettivamente di Carroll Shelby e Ken Miles, Matt Damon e Christian Bale
Il risultato finale è un racconto dove la rivalità personale tra Ferrari e Ford e la spietatezza della 24 Ore di Le Mans, della metà degli anni ’60, diventano quinta per parlare d’altro: la sfida tra uomini impegnati a confrontarsi con un progetto difficilissimo e, contemporaneamente, combattere ognuno con i proprio demoni personali.
Due ore e mezzo di film che scorrono intense e veloci
Elegante, elettrizzante, saturo di tinte vivaci e di quell’ottimismo della volontà così tipico degli anni ’60. Le Mans ’66 è credibile nei dialoghi, nelle voci fuori campo, che all’inizio e alla fine sottolineano il climax cui lo spettatore si troverà immerso, nella fotografia e nelle sequenze di gara. L’insieme che trasmette è quello di un film costruito con strumenti di precisione che consuma facilmente e velocemente il suo tempo di esecuzione.
La scelta della sceneggiatura è azzeccata: la rissa tra Ford e Ferrari per il dominio a Le Mans diventa velocemente pretesto da minimizzare per incorniciare, invece, l’aggressiva sfida tra uomini di sport e quindi d’azione contro quelli d’azienda intenti, al contrario, a rincorrere il loro personale successo d’immagine agli occhi del capo. Nella prima categoria ci sono il pilota/costruttore Carroll Shelby (Matt Damon) e il pilota di origine inglese scontroso e per niente diplomatico Ken Miles (Christian Bale), nella seconda troviamo i cinici uomini di Compagnia della Ford, come Leo Beebe (Josh Lucas) responsabile del programma corse di Ford. Tutti sorrisi splendenti e tradimento su misura e che vedono nel genio grezzo e istintivo di Miles una minaccia all’integrità e all’immagine del Marchio.

Il film è efficace proprio perché mette insieme un quadro emotivo tra i vari personaggi. E’ splendida la tempestosa amicizia tra il texano Shelby, che ha dovuto dolorosamente abbandonare anzi tempo la sua carriera vittoriosa da pilota per problemi cardiaci, con l’abrasivo Ken Miles. I due condividono amore, rispetto e lealtà tra lanci di chiavi inglesi e pagnotte di pane in azzuffate improvvise. Allo stesso modo è scintillante la relazione che esce fuori tra Miles e sua moglie Mollie (Caitriona Balfe) che pretende rispetto e sincerità da un marito che vive nell’eterno rimorso di aver negato la giusta stabilità alla sua famiglia così come commovente l’intenso rapporto di Miles con il figlio sempre in bilico tra paura e ammirazione incondizionata. Direi che Christian Bale si è infilato con l’anima nei panni del pilota Miles creando un personaggio strutturato e intenso che, fuori dai dialoghi, si ritrova meravigliosamente anche nel gergo, tutto inglese, delle infinite tazze di tè prese nei momenti più inconsueti.
Non mi ha del tutto convinto il tentativo di evocare una specie di simbiosi spirituale tra uomo e auto, una simbiosi che entra in azione a circa 7.000 giri al minuto. La troviamo in apertura e in chiusura dove, tuttavia, ne accompagna un cambiamento di ritmo che fa da contraltare a quello più sincopato e adrenalinico della parte centrale tutta dedicata alla corsa. Un cambiamento che porta al film una qualità narrativa inaspettatamente pensierosa mentre si arriva al finale e legata, comunque, a quello che è successo nella realtà.
La vera storia del grande rifiuto di Ferrari? Eccola.
Un film da vedere senz’altro, ma prima di andare al cinema guardate un po’ qui. Eccola la chicca promessa nel titolo di apertura del pezzo: si tratta del cortometraggio, narrato dalla splendida voce di Roberto Pedicini, della storia del gran rifiuto di Enzo Ferrari ai miliardi di Ford. La storia da cui partirà questa grande sfida raccontata nel film.